Il lavoro di Enrico Carpegna si snoda su direttrici diverse, con dissimilitudini a volte marcate, per abbracciare temi come la memoria storica, la natura nelle sue componenti zoologiche e vegetali, la figura umana nel suo continuo rappresentare la vita, l’acqua, mutabile per definizione, per non citarne che alcuni, e mi sono spesso chiesto incontrandolo, ma, soprattutto, confrontandomi con le sue opere, quale sia il motivo conduttore della sua visione del mondo, della sua visione della fotografia stessa e, conseguentemente, del suo fare fotografia.
Non è facile dare una risposta univoca. Probabilmente non c’è una risposta univoca. E una risposta univoca sicuramente non c’è mai, segnatamente per chi la vita la vede scorrere ed articolarsi in un continuum su piani e prospettive diverse che si avvicinano, si intersecano, si allontanano e forse danno una percezione di realtà a cose, immagini, situazioni. Di qui l’esigenza di trovare un senso a tutto ciò, di offrire delle chiavi di lettura attraverso un medium, la fotografia, che nel caso di Enrico è sostenuta da una lunga e solida pratica professionale. Una ricerca rigorosa, a volte estenuante. Stabilire quale sia lo scatto definitivo o lo stato definitivo di un’immagine è per lui spesso motivo di apprensione, non tanto perché l’approccio al mezzo con la raffinatezza che gli è propria, gli crei problemi tecnici od espressivi, ma perché, usando un bisticcio di parole, nello scatto o nello stato successivo c’è una verità più vera, una definizione più definita.
Un perfezionismo quindi non fine a sé stesso, ma finalizzato al conseguimento di significati più reconditi, allo svelamento di ciò che non appare ai più od appare sotto la coltre dell’ovvio e del banale od appare anche e attraverso o grazie all’occhio fotografico, con i suoi codici, settaggi e convenzioni, qui volti e spesso felicemente piegati al conseguimento dello scopo.
Ricerca, quindi, continua. Un occhio indagatore incessantemente aperto sulla realtà con un approccio naturalistico volto a registrare mutamenti, metamorfosi, variazioni di stato, cambiamenti di luce, di posizionamento, di orientamento, di apprezzamento. Solo così si spiegano immagini, come quelle proposte qui in mostra, di banali tuberi sottratti al mondo vegetale, lasciati al loro divenire e colti infine dal fotografo in uno stato che li fa assomigliare a pepite preziose, trasfigurandone senso e significato pur lasciandoli integri nella loro essenza. L’oro, l’argento e la preziosità intorno a noi che non tutti eravamo in grado di vedere! E la stessa cosa si può dire di arbusti, foglie, ortaggi, rami colti in prospettive di luce od avulsi da un particolare contesto per farne sculture o disegni che sanno di un elegante minimalismo zen o talora si trasformano in preziosi orditi intricati.
Eleganza, ovviamente, l’altra chiave di lettura della fotografia di Enrico Carpegna. Non un’eleganza, formale, vuota e fine a sé stessa. Certamente il portato di un grande bagaglio tecnico e una fotografia che sa raccordarsi con i grandi fotografi che l’hanno preceduto nel suo percorso di ricerca, da Frantisek Drtikol (e comunque una certa fotografia di afflato mitteleuropeo) a Irving Penn a Nobuyoshi Araki . Ma un’eleganza che nasce dall’interrelazione attenta tra il fotografo ed il soggetto indagato, sia esso una foglia, una spiaggia, un corpo umano, sempre posto in una luce colto in un momento di grande tensione espressiva.
Certo, tutto si trasforma, nulla perisce …e continua a vivere nell’arte.
Roberto Perugini.
ENRICO CARPEGNA
ENRICO CARPEGNA
Metamorphoseon (Aurum et Argentum)
"omnia mutantur, nihil interit" (Ovidio, Metamorfosi, XV Libro, verso n.165).
Dal 26 maggio al 23 maggio 2019